Poesie

INTRODUZIONE ALL’AUTRICE

«Le radici profonde non gelano.

Dalle ceneri rinascerà un fuoco,

L’ombra sprigionerà una scintilla [...].»

(J.R.R. Tolkien)

 

L’intensa autrice Marina Marconato cammina come un’acrobata sulla fune dell’esistenza, a fianco di ogni essere umano, sempre in bilico tra lo sprofondare negli abissi più remoti e l’elevarsi sino al cielo. I versi di Marina, quindi, nascono dall’unione-scontro degli opposti che fanno inevitabilmente parte della vita. L’essere umano è, infatti, in perenne combattimento tra angeli e demoni, fra fisicità e spiritualità, tra mors et vita. La poetessa è lì quando l’inverno della mente e del cuore gela l’uomo sino ad un passo dalla fine (“Gelo”). La poetessa è lì quando scendono lacrime e pioggia, mentre l’anima osserva sciogliersi i ricordi (“Piove”). Allo stesso modo, l’arte accompagna le luci che destano la notte, il fuoco dell’emozione e della passione che brucia il corpo ed il cuore. La poetessa, allora, decide di schierarsi dalla parte del bene, della positività, della speranza, esponendosi in prima fila nella lotta contro il male. I versi danno voce al grido strozzato in gola degli ultimi e l’arte diviene tanto catartica, quanto una Excalibur con cui combattere i soprusi, in particolar modo quelli contro la donna. Proprio lei la creatura più nobile e portatrice sana di bellezza, che ha rapito milioni di cuori ed ispirato generazioni di artisti, alla quale oggi follemente sono spesso associati i termini “violenza e femminicidio”. La poesia asciuga il pianto e libera le lacrime (“Donna”) elevandole al cielo come incenso.

«Un grido mi è morto dentro non sia sepolto né compianto non venga ricordato né celebrato.

Persino il pianto nasce da uno slancio.» (“Gelo”)

Compare, così, una delle figure simbolo della poesia di Marina: il vampiro, nel quale sorprendentemente si mescolano ancora gli opposti, come un demonio ed il Cristo, perché sulle strade dell’esistenza l’uomo è tormentato dal non trovare mai una felicità definitiva, costretto a indossare maschere di falsi Io, cercando di sfuggire all’inevitabile epilogo, già scritto dall’inizio nel suo percorso.

 

 

 

VAMPIRO

Vivo nella fissità del tempo, poiché da infante uccisero ogni mio anelito di vita.

Vago bramoso per corridoi affollati indossando una maschera di inattaccabile moralità.

I miei occhi si posano su coloro nei quali percepisco la vita.

Ne rubo l'ardore e ogni umana pulsione perché possano scaldare quel gelo mortale che mi inghiotte.

Riduco a brandelli anime vive e, deturpatele, le lascio esangui o folli.

Sono adorato e temuto. Le persone si affidano a me e io mi aggiro per le strade

cercando il plauso di un pubblico che confuso dalle mie parole mi vede quasi come un dio

Suono un flauto magico a donne piene di carne e sangue che rendo pazze, schiave e adoranti.

Onnipotente, non temo nessuno se non uno specchio che rifletta l'assenza del mio volto

e la bruttezza del nulla e un bacio d'amore caldo e vivo che mi renderà furioso

perché odio la vita, la inseguo e la fuggo, congelato in una maschera senza volto.

Dio, sì, sono un dio condannato all’eterna distanza dall'umanità.

Nell'assordante solitudine della mia morte, mi fingo vivo

per poter incantare stolte creature di ingenua bellezza e succhiare senza pietà, senza gioia

la linfa vitale che va a comporre la grottesca maschera che indosso per apparir sembianza umana.

Inchiodato alla croce del mio destino immutabile

 trascino l'unico braccio sfuggito ai chiodi del nulla

 afferro carne fresca, strappo baci veri e bevo il sangue di chi, sapendo sorridere, mi si avvicina

 e cade ai piedi del legno che sorregge l'involucro putrido del mio essere morto.

 

GELO

Un grido mi è morto dentro

non sia sepolto nè compianto non venga ricordato nè celebrato.

Persino il pianto nasce da uno slancio.

 

SHIDE

Mi circondi il fiore

Mi sfiori l’onda

si aprano le danze.

Sono acqua vento fuoco

 

PIOVE

Piove.

Io sto qui alla finestra a guardare un ricordo

 

DONNA

E si fa calda la pelle sotto la gonna

mentre il cielo tiene su una bolla di pianto.

Schegge di azzurro danno speranza alle lacrime cadute

 la carne morbida non ode e si fa calda, insensata

 gioca e freme

non conosce morte ma la dà o la toglie

Sale verso il cielo quel calore di femmina che l'azzurro su va a celebrare

lassù dove non c'è tempo e spazio per il pianto

 

LABIRINTI

Violando il labirinto

si corre su spiagge di sole

 

OCCHI DI BUIO

Relitti perduti in lacrime ghiacciate

annegati in dolori ormai marciti

anime che celano orrori in sorrisi morti

 

NOTTE DI LUCE

Notte di fessure da cui passa il cielo

notte di sorrisi

notte di sorprese

notte di sassi che diventano pepite

notte di distanze fortunate

notte di vampiri arresi

lontani e vinti.

 

SONNAMBULA

Pensieri che compongono sagome

scenari di giorni che ancora non hanno luce.

Pensieri che fanno di un sogno un quadro da parete

Mi muovo in giardini lucenti e pozzi di umore nero

attraverso l'ombra ed il suo gelo

mentre diamanti d'arcobaleno tagliano un cielo fidato.

Nutrita di silenzi

nell'eco del nulla coglievo falsi riflessi di arcobaleno.

Uno specchio può addirittura raccogliere un fantoccio

 

EL DIABLO

Fermo un pensiero

un istante di stupido cielo

nel sudore di un sospiro un uomo perde l'anima.

El Diablo sorride.

Le ciglia chiudono il mio pianto.

 

SEMBIANZE

Sfilai la maschera che celava un orrore.

Credevo fossi un volto.

Ora vedo volti ove non ci son maschere

e maschere ove non ci son volti

 

PADRE

Riprendi padre le lacrime che non hai consolato

ti rendo il ricordo mai nato delle nostre risate e dei baci che non sei riuscito a dare.

Tienili tu, padre, ora che è tardi

ora che io quel peso non lo sostengo più.

Tienili con te che sei più forte di me

fa che almeno adesso io possa chiamarti padre.