29 agosto, 2018

AFFIDAMENTO DEI FIGLI: LA PROPOSTA DI LEGGE DICE STOP ALL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO E ALLA CASA FAMILIARE

Arriva in piena estate, quasi a sperare che potesse passare inosservata, la proposta di legge sull’affidamento dei minori del leghista Pillon. Tale Disegno di Legge rappresenta un arretramento grave in merito alla tutela di fanciulli e dei coniugi più deboli e, nella pratica, sarà disastrosa anche per il coniuge più forte.

Queste le novità della proposta:

a) mediazione obbligatoria: la legge imporrebbe l’obbligo, per chi volesse separarsi, di rivolgersi prima ad un mediatore per tentare un accordo. Tale procedura sarebbe a pagamento sia in ordine al compenso dovuto all’organismo di mediazione prescelto sia in relazione al compenso dovuto agli avvocati. Ovviamente, laddove tale accordo non si raggiungesse, bisognerebbe rivolgersi in Tribunale, con nuovi costi a carico delle parti. Doppia spesa dunque ed aumento del tempo necessario per avere delle disposizioni economiche e relative all’affidamento dei minori.

Quest’ultimo aspetto è forse poco visibile ma, nella pratica, il periodo che intercorre tra la decisione di chiudere il rapporto ed il momento in cui un Giudice stabilisca regole certe, rappresenta una terra di mezzo priva di norme. Essendo fisiologica una tensione tra le parti che, solitamente, è alta proprio nel primissimo periodo, va da sé che tale allungamento dei tempi comporterebbe un’esacerbazione del conflitto e difficoltà economiche e di gestione dei minori.

Sto parlando, ad esempio, del mantenimento di coniuge e figli, la cui misura può, in tale fase, essere lasciata alla libera determinazione del coniuge più forte; sto parlando dei possibili conflitti in ordine ai tempi e modalità di visita, dei periodi delle vacanze ecc.

b) eliminazione dell’assegno di mantenimento

Il DDL prevede l’eliminazione, salvo rari casi, dell’assegno di mantenimento a favore della prole dato che vi sarebbe il mantenimento diretto, ossia ciascun genitore provvederebbe a mantenere il figlio durante la permanenza presso di lui.

E tutte quelle donne che abbiano perso il lavoro o lo abbiano lasciato, di comune accordo con il partner, per dedicarsi alla cura dei figli, quelle donne che magari decidano di separarsi o vengano lasciate dal coniuge alla soglia dei 45-50 anni, in un Paese in cui è grave il livello di difficoltà di inserimento e reinserimento lavorativo, come faranno ad andare avanti e dove abiteranno? Si troveranno sulla soglia della povertà. Ed è a questo punto che il progetto di legge dà il meglio della sua inidoneità sociale:

c) l’art. 11 del progetto di legge prevede che chi non ha la possibilità di ospitare il figlio in spazi adeguati non ha il diritto di tenerlo con sé secondo tempi “paritetici”.

il genitore più povero rischia di perdere anche la possibilità di vedere il figlio.

d) affidamento congiunto con tempi paritetici o al massimo con una soglia di 12 giorni obbligatori di permanenza presso l’altro genitore

Tale articolo non tiene conto di un principio base del diritto di famiglia: l’interesse preminente del minore.

Un bambino ha bisogno di entrambi i genitori ed il concetto della bigenitorialità, lo si vuole ribadire, è sacro ed inviolabile ma la figura materna e quella paterna non sono identiche ma complementari, sono diverse sia a livello psicologico sia a livello biologico. La figura principale di attaccamento è quella materna, soprattutto sino alla pubertà, rivestendo il padre un ruolo parimenti fondamentale ma differente. Costringere un bambino, peraltro destabilizzato dalla frantumazione del nucleo familiare, a stare per settimane con il papà senza la mamma, può causare sofferenza e traumi, soprattutto in quei casi in cui il padre, per propria attitudine caratteriale, era più dedito al lavoro e poco attratto dal ruolo di accudimento.

Detto questo, l’altro aspetto aberrante è che si costringeranno i minori a vivere spostandosi in continuazione, modalità stancante che, francamente, anche un adulto sopporterebbe a fatica.

Atteso che la prole dovrà avere due residenze, due case, insomma, e che le dovrà frequentare per metà mese, se passasse questa legge avremo il seguente drammatico quadro: bambini, anche piccoli, costretti a vivere improvvisamente in due ambienti diversi, con grandezze diverse, spazi diversi, ritmi familiari diversi, alimentazione diversa, sistemi di vita diversi ( quando la norma base sinora era quello di garantire ai figli di vivere nella medesima casa in cui erano cresciuti al fine di mantenere, a fronte della disgregazione familiare, almeno un punto fermo).

d) NO alla assegnazione della casa familiare

Come accennato, se attualmente la casa familiare è assegnata al genitore presso cui sono prevalentemente collocati i minori, qualora fosse approvato il progetto di legge, tale principio non esisterebbe più ed anzi, in caso di assegnazione al soggetto non proprietario dell’immobile, questi dovrebbe corrispondere all’ex coniuge una indennità di occupazione.

e) lotta alla alienazione parentale

La c.d. PAS ( sindrome da alienazione parentale) è un concetto utilizzato troppo frequentemente dai Tribunali e reca in taluni casi ai minori danni gravissimi. Infatti, di fronte al diniego dei bambini a frequentare uno dei genitori, non si ascolta il bambino e non si svolgono accurate ricerche ed indagini ma, mediante perizie che velocemente attestano una PAS, viene scaricata quasi automaticamente la responsabilità del diniego su presunte manipolazioni dell’altro genitore, accusato di aver distrutto, agli occhi dei figli, l’altra figura genitoriale. A ben vedere, nella maggioranza dei casi, i figli si oppongono alla frequentazione poiché sono stati per anni testimoni di violenza assistita o diretta ( cioè esercitata da un genitore ai danni dell’altro o subita da loro stessi) oppure sono stati vittima dell’indifferenza emotiva e materiale di quel genitore che, in sede di separazione, improvvisamente vuole imporsi come figura di riferimento pur non avendo mai costruito un rapporto vero con la prole.

Le risultanze di sbrigative CTU portano a volte a casi drammatici di minori sottratti al genitore accusato di PAS e consegnati proprio al genitore assente o violento.

In un Paese in cui la violenza domestica ed i femminicidi sono all’ordine del giorno, in un Paese in cui le misure normative atte a fronteggiare questi fenomeni sono scarse ed inefficienti, in un Paese in cui gli abusi sui minori portano numeri allarmanti (nel 2014 circa 50% degli 11-17enni è stato vittima di episodi offensivi, non rispettosi e/o violenti e 5.080 minori sono stati vittime di abusi e violenze sul suolo italiano nel 2015), questa riforma sembra andare in direzione opposta alla soluzione del problema, anzi avrà il risultato di consegnare i soggetti più deboli economicamente, emotivamente o per età e le vittime di abusi a sofferenza sicura.

Il  magistrato Fabio Roia, presidente di Sezione del Tribunale di Milano e autore, tra l’altro di un recente saggio intitolato Crimini contro le donne, politiche, leggi e buone pratiche, ha definito la PAS «una sorta di moda che va fermata». “Di fronte al rifiuto di un bambino di incontrare un genitore, di solito il padre, molti giudici tendono a dire che la madre ne manipola in qualche modo l’emotività. Ma questo rifiuto del figlio normalmente accade quando è stato spettatore di una violenza assistita che gli ha ovviamente procurato dei traumi e delle sofferenze. La sua è una naturale richiesta di tutela”.

Violenza in famiglia e riforma

Se alla fotografia delle coppie sane che decidono di separarsi, andassimo anche ad affiancare quella delle famiglie in cui vi è un soggetto violento e maltrattante, allora il quadro delineato da questa proposta diviene assolutamente da incubo. Vero che, sulla carta, i casi di violenza verrebbero trattati in modo differente, tuttavia, mi permetto di nutrire seri dubbi in merito alla capacità dei Tribunali privi di sezioni specializzate e di Giudici, periti, avvocati, operatori appositamente formati, di accertare e riconoscere i segni di maltrattamenti psicologici o fisici magari in assenza di certificati di Pronto Soccorso o di denunce ( si ricordi che spesso le vittime di violenza non hanno sempre la forza di denunciare).

Questa ultima precisazione andava fatta poiché, in Italia, ogni due giorni una donna viene uccisa dopo che aveva subito violenza psicologica e fisica dal suo futuro assassino. I dati sulla violenza di genere sono allarmanti e rappresentano la punta di un iceberg gigantesco, posto che gli abusi sessuali, i maltrattamenti, le percosse ai danni di mogli, compagne e figli vengono tenuti nascosti entro le mura domestiche e che, solo in minima parte, grazie ad un lento lavoro di presa di coscienza e forza, le vittime rompono il silenzio e decidono di interrompere la relazione. Di certo, esse hanno assoluto bisogno di tutela e sostegno sociale ed economico e di misure snelle, efficaci, veloci e possibilmente a basso costo, giacché la mancanza di mezzi economici è un deterrente all’interruzione della relazione malata e della denuncia al soggetto violento, spesso unico in famiglia ad avere un lavoro stabile e sufficientemente retribuito.

Insomma, questa proposta rappresenta un arretramento rispetto alle norme ed ai principi internazionali che hanno legiferato in favore della tutela dei fanciulli e dei soggetti in difficoltà e per il potenziale danno sociale che contiene essa va bocciata.

Impariamo a dire NO ad alta voce ed a farlo sentire bene anche ai politici prima che sia troppo tardi.

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